lunedì 28 dicembre 2009

Ginevra 1933, Svizzera - Italia: doppietta di Angelo Schiavio




[GINEVRA (Parc des Sports) Domenica 2 aprile 1933, ore 15]

Svizzera-Italia 0-3 (0-1)

SVIZZERA: Séchehaye, Minelli, Weiler I° (cap.), Gilardoni, Baumgartner, Rauch, Von Känel, Passello, Poretti A., Abegglen II°, Jaeck

- Commissione tecnica della Federazione.

ITALIA: Combi (Juventus), Rosetta V. (Juventus), Caligaris (Juventus) (cap.), Pizziolo (Fiorentina), Monti L. (Juventus), Bertolini (Juventus), Costantino (Roma), Meazza (Ambr.-Inter), Schiavio (Bologna), Ferrari Giovanni (Juventus), Orsi (Juventus)

- Commissario unico: V. Pozzo.

Arbitro: Baert (Belgio).

[Reti: 35' e 60' Schiavio, 75' Meazza.]

Nel video in alto la netta affermazione dell'Italia sulla Svizzera in quel di Ginevra, partita valida per l'assegnazione della Coppa Internazionale (una bellissima coppa in cristallo di Boemia), trofeo ideato dal grade Hugo Meisl, leggendario allenatore del "Wunderteam" austriaco, conosciuto anche come Coppa Antonín Švehla e nell'ultima edizione anche Coppa Dr. Gerö. Di fatto fu la prima competizione per squadre nazionali di calcio regolarmente disputata in Europa continentale. La Coppa Internazionale metteva di fronte le compagini nazionali dell'Europa centrale costituendo un importante precursore del Campionato europeo per nazioni. Se ne disputarono sei edizioni, dal 1927 al 1960, con due vittorie per gli azzurri: nell'edizione 1927-1930 e in quella del 1933-1935. Sempre nel video, inoltre, la bella azione italiana che porta al primo gol realizzato da Angiolino Schiavio, quel giorno in grande forma.

Come hanno vinto gli azzurri

Di Pier Luigi Tagiuri

Da "Il Littoriale" del 3 aprile 1933

Già un'ora e mezza prima dell'inizio soltanto le tribune numerate sono semi vuote, il resto del campo, posti in piedi e posti a sedere, è tutto gremito di folla. Bandierine multicolori -- i vessilli italiani e svizzeri predominano -- sovrastano le tribune su tutti e quattro i lati del campo; in un angolo un palo tenuto da fili di ferro -- ricorda l'albero maestro di un veliero -- porta tre grandi bandiere, l'italiana, svizzera e belga, in omaggio all'arbitro Baert. Si gioca una partita di apertura fra due giovani squadre di cadetti e si vede subito come il vento assai forte ostacoli il controllo del pallone e la precisione dei pasaggi. La radio alterna allegre musichette con annunci pubblicitari. Intanto il pubblico va aumentando con sì costante progressiva intensità che, pur mancando ancora un'ora circa al più atteso incontro, già si verificano, nonostante il senso di disciplina innato in questo popolo, alcuni tentativi di sconfinamento nel recinto dei numerati: e gli addetti al controllo sudano le tradizionali sette camicie a ricondurre le cose alla norrmalità. La folla folta sul terrapieno ha ondeggiamenti ora paurosi ora comici: alcuni audaci, con grave rischio per la loro incolumità, si sono arrampicati e stanno appollaiati nelle posizioni più inverosimili, sui tabelloni reclame che circondano gi spalti, tanto che l'alto parlante annuncia che la Federazione Svizzera declina ogni responsabilità su eventuali incidenti. Circola un programma che dà notizia della squadra italiana, alcuni utili altre amene. Dice, ad esempio, tra l'altro, che Pizziolo è allievo di Petrone, e che Costantino è stato allevato nell'America del Sud... Le ultime battute dell'incontro preliminare passano fra il disinteresse generale. Le tribune intanto si sono anch'esse riempite. I cadetti, finita la partita, fanno ala d'onore ai nazionali che escono dal sottopassaggio: ventiquattro obiettivi -- tanti sono i fotografi sul campo -- scattano, e scattano gli spettatori in un applauso agli azzurri che salutano romanamente; poi, poco dopo, ai crociati. Il fondo del campo è duro, elastico ed erboso, in una parola ottimo. Tiri di assaggio, preliminari. I capitani Caligaris e Weiler, con l'arbitro, procedono alla scelta del campo. Vince la Svizzera. L'Italia gioca col vento contrario e batte la palla. Sono le 15. Gli azzurri giocano nella formazione preannunciata. La Svizzera, che ha scambiato i ruoli fra i mediani laterali, è risultata così composta: Séchehaye, Minelli, Weiler I° (cap.), Gilardoni, Baumgartner, Rauch, Von Känel, Passello, Poretti A., Abegglen II°, Jaeck

Le prime battute

Al primo assaggio italiano fa riscontro una veloce discesa di Von Känel, che Caligaris ostacola. Orsi manda poi in fallo un passaggio di Schiavio, e Caligaris soffia ancora a Xam, che sta per tirare, una palla poco promettente. Lanciato in profondità da una serie Meazza-Ferrari, Orsi centra: Schiavio da due passi tira al volo: la palla è deviata in angolo. Batte Orsi, Meazza riprende ed il portiere elvetico salva ancora in corner. Nulla di fatto sul tiro di Costantino. Un buon passaggio di Passello non è raccolto da Von Känel. Poi all'8' dopo altre alternative, Sechehaye è chiamato a parare un tiro di Schiavio il quale è ostacolato da Weller. Passello è ancora il più attivo, ma i più pericolosi Poretti e Abegglen sono strettamente sorvegliati. Tenta Jaeck, al 10', un tiro forte che va alle nuvole; indi Monti si sveglia e lancia Schiavio. Conclude Orsi con un tiro che Séchehaye para con abilità. Siamo al 14'. Schiavio su azione in linea, poi Costantino, mancano buone occasioni; al 17' una discesa in linea dal centro a destra è conclusa da Costantino; ma non frutta, per l'abilità del portiere svizzero, che un terzo calcio d'angolo. Questa volta è Rauch che sbroglia la situazione.

La morsa si serra

Un fallo di Bertolini su Passello frutta alla Svizzera una punizione. La battte Minelli, e Pizziolo salva intercettando il tiro di Jaeck. Al 20' una trama Costantino-Schiavio-Orsi si conclude con un tiro dell'ala sinistra: ma Gilardoni salva col viso il quasi sicuro goal.. La meteora Passello si è spenta: è Abegglen che sostiene quasi tutto il peso dell'offensiva. La pressione azzurra si fa più intensa e Schiavio, dopo reiterati tentativi, spedisce a lato, al 24' un pallone d'oro fornitogli da Orsi. Minelli si prodiga in difesa e le punizioni cominciano a fioccare: al 29', per fallo di Minelli su Orsi, sulla punizione di Caligaris, Meazza serve a meraviglia Schiavio il quale, con tiro potente e preciso, il migliore fino a questo momento, sfiora l'asta superiore. Risponde Von Känel che costringe Combi alla prima parata, resa difficile da una casuale deviazione al tiro.

Il primo punto di Schiavio

Schiavio si va facendo sempre più pericoloso, e al 32', su passaggio di Ferrari a Meazza, punta sul gol: Séchehaye audacemente esce e salva. Tre minuti dopo, su un preciso rifornimento di Monti, Orsi si lavora un pallone perfetto, poi, vistosi venire incontro Minelli, lo passa a Ferrari. Da Ferrari la palla giunge al centro e Schiavio, già in azione, saetta in rete. L'incantesimo è rotto. Ferrari, subito dopo, costringe Séchehaye ad una difficilissima parata in "corner". Sul tiro l'arbitro fischia una carica del nostro centro attacco al portiere svizzero. Altri due salvataggi in corner al 40' ed al 41' vengono sventati. Il secondo tiro è respinto da Rauch con le mani; ma l'arbitro non rileva. Al 42' Meazza su punizione tirata da Orsi per fallo di mano di Gilardoni, alza a campanile un pallone giratogli di testa da Ferrari; e, un minuto dopo, altro calcio d'angolo contro la Svizzera, il settimo, tirato da Orsi, che Séchehaye respinge di pugno. Meazza riprende al volo; ma il portiere svizzero, benché coperto, riesce a parare ancora. Il fischio del riposo trova gli azzurri ancora all'attacco.

La trionfale ripresa

Nell'intervallo la radio comunica alcune impressioni e critiche al selezionatore svizzero; ed il pubblico non commenta troppo benevolmente, osservando non essere quello il mezzo migliore per incoraggiare la propria squadra. Ciò nonostante quando riprende il giuoco è la Svizzera che fa i primi assaggi per altro poco pericolosi. Ma al terzo minuto Orsi si libera astutamente di Gilardoni prima e poi di Minelli e traversa a Costantino. Questi, senza indugio, stringe e spara in porta; ma, prima ancora che Séchehaye tenti la parata, Schiavio interviene in corsa e devia verso l'angolo opposto della rete. Due a zero: gli svizzeri sono interdetti ed incassano in quattro o cinque minuti altri due calci d'angolo che Séchehaye para brillantemente; uno su ripresa di testa di Ferrari, e l'altro bloccando di prima la centrata di Orsi. Poco dopo Schiavio manda fuori di pochissimo al volo una palla fornitagli da Monti, e, dieci minuti dopo, ecco due facili parate di Combi su tiri di Von Kanel e di Poretti. Séchehaye è ancora seriamente impegnato da Meazza. Altro corner infruttuoso al 12' contro i rossi. Questi tentano l'offensiva, Caligaris manda in corner un pallone di Poretti: sul tiro di Jaeck nuovo calcio d'angolo che Combi respinge di pugno. Il terzo goal è mancato di pochissimo da Costantino, poi un altro da Orsi, dopo bellissima azione di Pizziolo. Al 15', su rimando di Weiler, Baumgartner lancia Von Kanel: passaggio a Passello e parata di Combi.

Accademia e terzo goal di Meazza

Ma lo sprazzo crociato è finito. Gli azzurri riprendono in pieno il dominio: lavorano di cesello, fanno accademia senza preoccuparsi del numero dei goals. Una così ordinata ed armonica pressione dovrà dare necessariamente altri frutti prima o poi; e Séchehaye non ha tregua. al 30', finalmente, su passaggio di Monti a Ferrari, e allungo di questi a destra, Meazza ha uno scatto dei suoi e segna. Ormai si scherza. combi si diverte a parare da fermo i due palloni che giungono fino a lui come per dire agli svizzeri che non c'è nulla più da fare... Al 36', su centrata di Orsi, Schiavio, a due metri dalla rete finta, si accomoda il pallone, prende la mira... per poi tirare contro il palo: ridono gli italiani in tribuna. Pensate che cosa avrebbero fatto se quello avesse dovuto essere il punto della vittoria? Ma possono ridere. Solo al 41', mentre Meazza è uscito momentaneamente dal campo per uno scontro con Jaeck, l'attacco svizzero si fa sotto la porta azzurra. Abegglen passa a Poretti il quale tira questa volta forte e preciso. Goal? No. La seconda vera parata di Combi, forse la più bella di tutte, è stata fatta su questo tiro. Rientra Meazza e riprende la pressione azzurra. Nuovo miracolo di Séchehaye su prodigioso tiro di Schiavio; altro ancora, ultimo, su spiovente di costantino. La fine, per il deluso ma convinto pubblico ginevrino, giunge come una liberazione. In contegno cavalleresco i mille e più italiani presenti sul campo oppongono una gioia dignitosa, generosa. La letizia sfavilla dagli occhi; ma si esprime sottovoce senza grida incomposte: solo un corretto scrosciare di applausi.

Ciò che pensano della partita giocatori ed "ufficiali"

Subito dopo la partita abbiamo cercato d'avvicinare le personalità ed i giuocatori più in vista ed abbiamo chiesto le loro impressioni che vi diamo in succinto: Il comm. Pozzo, Commissario Unico, ha dichiarato che lo scarto fra l'Italia e la Svizzera avrebbe potuto essere assai superiore. Egli ha detto che un risultato di sei o sette goals di differenza avrebbe meglio caratterizzato l'andamento della partita. Il risultato non riflette quindi l'andamento del giuoco; ma rende tuttavia l'idea della superiorità degli azzurri. E' stata questa una grande giornata per i nostri calciatori. Una di quelle giornate che hanno tutta la sostanza e tutte le ragioni per convincere gli spettatori e per fissarsi a caratteri indelebili nella mente degli attori. Il capitano degli azzurri, Caligaris, si è rifiutato di fare il nome dei migliori della squadra: per lui tutti sono stati dei grandi giuocatori. La squadra, egli ha detto, messa più alla frusta, può rendere ancora maggiormente. La giornata di oggi è stata regolare; ma il risultato poteva essere superiore. Quanto agli svizzeri Caligaris ha detto che essi cominciano ora a giocare bene sulla palla. Questo è indice di un serio miglioramento. Tuttavia essi cadono ancora in molti errori, e specialmente abusano del gioco alto. Il loro elemento migliore è sempre Abegglen che ha oggi lavorato un po' per tutti. Schiavio ha detto che la collaborazione avura da Orsi è stata perfetta. Tutte le linee sono state a posto, secondo lui. Lo strappo muscolare di cui soffriva non gli ha impedito di giuocare nonostante il fastidio sensibile. Abbiamo giuocato da gran signori e non abbiamo avuto bisogno di spingere a fondo, ha concluso il centro attacco della Nazionale. Meazza si è dichiarato contento della partita che ha giuocato; ma più contento ancora del modo con cui l'ha finita (come è noto al 30' egli ha segnato il terzo goal degli azzurri). Tutti gli altri giuocatori si sono dichiarati molto soddisfatti.

sabato 26 dicembre 2009

La Birraria Ronzani, prima sede del Bologna Football Club


La Birraria Ronzani, luogo culto per eccellenza nella storia del club rosso-blu, il locale di via Spaderie dove il Bologna Football Club venne fondato e dove tutto ebbe inizio, si trovava all'interno dello storico Palazzo senatorio dei Lambertini, edificio risalente al secolo XIII e ristrutturato nel 1522 da Baldassarre Peruzzi. All'interno del cortile del palazzo sorgeva anticamente la piccola chiesa parrocchiale di San Cataldo: edificata dalla famiglia Lambertini prima dell'anno Mille nell'area tra le vie Artieri, degli Orefici e Calzolerie, fu soppressa come parrocchia nel 1566 perchè priva di sagrestia, campanile e cimitero quindi successivamente abbattuta. L'edificio, oltre all'antico Albergo del Commercio, secondo la tradizione aveva ospitato anche la bottega del famoso orafo e pittore Francesco Rabolini, detto il Francia, vissuto tra il XV e il XVI secolo. Palazzo Lambertini si trovava nel cuore della vecchia Bologna, al centro di un dedalo di vicoli, un crocicchio di stradine e viuzze che donavano all'antico  – e ancora intatto – centro storico di Bologna un fascino del tutto particolare, unico. Luogo di antichi mestieri, botteghe, mercati e storiche osterie, come quella detta "Del Sole", che dissetava e sfamava i bolognesi già dal 1465. Questo era l'humus dove sorgeva l'edificio nel quale venne fondato il Bologna F.C.: via delle Accuse, via della Canepa, piazza Uccelli, via delle Spaderie, via della Corda, le vie Cimarie e Pelliccerie, via delle Zibbonerie. Un universo di colori, aromi e umanità varia che venne perduto per sempre con le demolizioni del 1910-11, dopo le quali il volto di Bologna prese definitivamente le sembianze che ha ancora al giorno d'oggi. Le associazioni ludico-sportive che ospitava Palazzo Lambertini erano tre: il Circolo Turistico Bolognese, presieduto dal Cav. Sandoni, il neonato Bologna Football Club e il Comitato Regionale Emiliano (fondato nel 1910 da due società: il Bologna F.C. e la S.G.E. Sempre Avanti), con a capo due fondatori del Bologna: Guido della Valle, appena sedicenne, ed Emilio Arnstein, autentico ispiratore e factotum del Bologna dei pionieri. C.R.E. che rispondeva allo scopo ben preciso di disputare per la prima volta in Emilia un campionato ufficiale della Federazione calcistica italiana. Alla Birraria Ronzani si accedeva da due entrate: una posta in via degli Orefici al n°2, mentre l'altra si trovava appena voltato l'angolo, in via delle Spaderie n°6, dove i 25 che si riunirono quella domenica mattina del 3 ottobre 1909, decisero di insediare la prima e provvisoria sede dopo l'avvenuta fondazione del B.F.C. La Birraria Ronzani era un bel locale in stile liberty, con annesso un grande cortile dove venivano sistemati i tavoli nella bella stagione. A lato del cortile c'era un porticato, al termine del quale – da una piccola porta – si entrava direttamente alla birreria. Nel 1910-11 il Comune decise di modificare radicalmente la zona, che andava dal restaurato Palazzo Re Enzo, alle Due Torri di Piazza Ravegnana. Venne pertanto deciso di abbattere Palazzo Lambertini (la cui torre era stata inglobata nel Palazzo Re Enzo) e la stessa sorte toccò alla adiacente Torre Tantidenari (che la gente chiamava dei telefoni perchè era stata trasformata in traliccio per i fili della Società telefonica che vi aveva sede). Parimenti furono eliminati diversi vicoli attorno al quadrilatero, già nominati precedentemente. Solo le vie degli Orefici e Caprarie, allargate ed allineate, sono sopravvissute a quelle demolizioni e al riassetto della zona. Su questa area si costruì, con tecniche modernissime impiegando il cemento armato, il primo blocco denominato appunto Modernissimo, di proprietà almeno in gran parte di Camillo Ronzani, il "Re della birra" (ovviamente proprietario della Birraria Ronzani), su disegno dell' Architetto Pontoni. Tale edificio terminava alla via Tosapecore ora degli Artieri. Il Bologna quindi dovette adoperarsi per trovare un'altra sede sociale, che fu individuata nel vecchio Bar Libertas di via Ugo Bassi al n°13, mentre la Birraria Ronzani e via Spaderie sparirono per sempre, entrando però definitivamente nella leggenda del Bologna Football Club.

mercoledì 2 dicembre 2009

Franco Cresci


Sono particolarmente affezionato alla figura di Franco Cresci (una vera bandiera del club rosso-blu, un calciatore un po' sottovalutato nella storia del Bologna), un uomo che ha fatto dell'umiltà, della serietà e della disponibilità un marchio di fabbrica, dentro e fuori dal campo, un esempio per tutti. Cresci è stato un difensore polivalente, intelligente tatticamente, duro nei contrasti quando serviva, inferiore a pochi altri nella Serie A italiana degli anni '60 e '70. Non ha mai goduto di grande stampa e ha mantenuto sempre un profilo basso, forse questo un po' gli ha nuociuto. Undici gloriose stagioni in rosso-blu, epici duelli (anche a livello internazionale) con gli attaccanti avversari, prima in un Bologna ancora importante, ricco di giovani talenti e dei vecchi draghi dell'ultimo scudetto; poi, a fine anni '70, la lotta per la sopravvivenza in un Bologna decadente, con le salvezze arraffate allo spasimo tra mille polemiche e lotte furibonde. Indimenticabile un Bologna - Perugia del 1979, ultima e decisiva giornata di campionato, con Salvatore Bagni scatenato (autore di una doppietta e deciso – lui e tutto il "Perugia dei miracoli" – a mantenere l'imbattibilità in campionato) e presto ridotto a miti consigli da Franco Cresci. Alla fine fu salvezza, con Bagni trasportato fuori dal campo in barella e sostituito.

Da Angeli e diavoli rossoblù. Il Bologna nei racconti dei suoi campioni.

Di Fabrizio Càlzia e Francesco Caremani.

Oggi Franco Cresci, classe 1945, milanese purosangue, fa l'allenatore. Dopo avere condotto (e molto bene, a detta di tutti) diverse squadre del circondario bolognese (fa cui il San Lazzaro e il Crevalcore) ha scelto, da quest'anno, la squadra dei ragazzini del Castel San Pietro. "Una scelta, se non di vita, quanto meno ideologica", tiene subito a precisare. "Mi piacerebbe partire da questi giovanissimi e inculcare loro la mia - e credo non solo mia - idea di calcio. Del calcio che tutti conosciamo e che io ho visssuto, del calcio che nulla ha a che spartire con lo 'sport' attuale, di un calcio che, credo fermamente, si basava come prima cosa sul rispetto: il rispetto degli altri, del mister, degli avversari, di se stessi. Il resto, ritengo, è una conseguenza: l'amore per il gioco, per il gioco pulito ma anche per il piacere del gioco, tornare a giocare con i fondamentali, sperimentare finte e trucchi come forse ai nostri tempi si faceva in strada e come oggi nessuno più insegna." Parlare di calcio con Franco Cresci, roccioso difensore del Bologna dal 1968 al 1979, con trecento e una partita all'attivo e sette gol segnati (un bel numero per un'epoca in cui, per dirla alla Bagnoli e in quel dialetto meneghino che Cresci ben conosce, 'el tersin faseva el tersin'), significa partire da lontano, lontano nel tempo come recitava una vecchia canzone di Luigi Tenco: torniamo nei primi anni Sessanta quando l'Italia conosce lo stupore e l'euforia del suo primo - e forse ultimo - boom economico. Simbolo sportivo del momento è la Grande Inter di Helenio Herrera, la prima squadra italiana a vincere in Europa e, ciò che più conta, a spese del Real Madrid. Ebbene: in quell'Inter c'è anche lui, Franco Cresci, promettente difensore delle giovanili che spera e sogna, un giorno, di ritrovarsi fianco a fianco con i campioni nerazzurri.

Dall'Inter di Herrera al Varese

Burgnich, Facchetti, Guarneri, Picchi ... "A dire il vero il sogno divenne presto realtà, anche se si tratttava delle partitelle del giovedì che vedevano noi della 'De Martino' mescolati ai titolari. Spesso si giocava con difesa giovane e attacco titolare contro difesa titolare e attacco giovane. In ogni caso mi ritrovai a giocare alcune volte avendo come estemporaneo 'mister' Helenio Herrera ... ". Cresci cresce. In fretta: dopo un anno al Rapallo finisce al Varese dell'industriale Borghi, padrone dell'Ignis e ben presente in campo sportivo non solo nel basket. La squadra biancorossa lombarda in quel 1966-67 è la rivelazione del campionato cadetto, un mix esplosivo di campioni esperti (il portiere Da Pozzo, i difensori Sogliano e Della Giovanna, le ali Leonardi e Renna, il centrocampista Cucchi) e di giovani oltre a Cresci, ecco figurare un giovanissimo centravanti proveniente dalla Massiminiana. Il suo nome è destinato a entrare di prepotenza nella storia del calcio italiano: Pietro Anastasi. È una squadra che finisce dritta in serie A, una compagine di categoria superiore che vivrà il proprio momento di gloria nella stagione successiva quando, a rinforzarne ulteriormente i ranghi, arrivano i centrocampisti Mereghetti e Tamborini, l'ala sinistra Vastola e, sopratttutto, l'esperto Armando Picchi che darà sicurezza all'intero reparto e al giovane Cresci. L'inizio è incerto, poi arrivano le vittorie contro l'Inter, non più Grande ma sempre forte, a Ferrara contro la Spal, e, soprattutto, al giro di boa, sulla capolista Milan.

Con Picchi a Varese

I rossoneri si laureano ugualmente campioni d'inverno ma alle loro spalle c'è la sorprendente compagine biancorossa. Per Franco Cresci, difensore non altissimo ma ben piantato e roccioso, si schiudono - dopo quelle della nazionale giovanile - le porte della Nazionale B: alla vigilia di Natale gli azzurrini perdono 1-0 in Inghilterra ma il risultato, in questo caso, conta poco. Nel girone di ritorno il Varese tiene botta e conclude con un lusinghiero ottavo posto. La rivelazione Anastasi, ventenne e autore di undici reti, si laureerà di lì a un mese campione d'Europa con gli azzurri di Valcareggi. Il suo strepitoso gol nella finale contro la Jugoslavia gli varrà il passaggio alla Juventus mentre lui, Franco Cresci, altra giovane rivelazione di quel campionato, finisce nel mirino del Bologna, desideroso di voltare pagina, come dimostrano anche le cessioni di Fogli al Milan e di Guarneri al Napoli. "Toccai, come si dice, il cielo con un dito", ricorda Franco Cresci. "L'eco del Bologna di Bernardini non si era ancora spento, e finire in una squadra che mostrava ambizioni era un grande traguardo. Tanto più che quell'estate i rossoblù si rinnovarono radicalmente: insieme al sottoscritto arrivarono il giovanissimo Beppe Savoldi dall'Atalanta, il centravanti Muiesan dal Bari, il mediano Gregori dal Vicenza, il portiere Adani dal Modena. Ci sistemarono tutti in un unico appartamento, a parte Adani che tornava a casa a Modena dopo l'allenamento. Non ci volle molto ad affiatarsi, tanto più che trovammo un ambiente bellissimo, con quelli della vecchia guardia subito prodighi di consigli e di incoraggiamenti. Con particolare affetto e gratitudine ricordo in questo ruolo di chiocce Franco Janich e Giacomo Bulgarelli."

Furono loro a soprannominarti "Cristu"?


"Adesso non ricordo. E comunque quel nomignolo, che mi affibbiarono per il mio intercalare milanese quando in campo le cose non andavano, venne molto bene un paio d'anni più tardi, quando la squadra era piena di gente che si chiamava Franco; bisognava distinguerci in qualche molto altrimenti, anche in campo, sai che casino ... " 
Dal Varese baby eri passato al Bologna new wave ... "Anche se in quel primo anno, era il 1968-69, le cose andarono cosi così. Mancava ancora l'amalgama e arrivammo soltanto noni. La musica cambiò l'anno successivo, quando vincemmo la coppa Italia. Quel successo spronò i dirigenti a 'crederci', a investire ancora. Tanto che l'estate successiva arrivò il grande acquisto, quello che pareva destinato a farci fare il salto di qualità ... "

Invece?

"Invece il salto ci fu, ma durò poco: 'Whisky' Liguori era davvero un grande, dai polmoni d'acciaio e dai piedi buoni. A centrocampo, con lui e Bulgarelli, ci sentivamo a posto. In più dietro era arrivato Adriano Fedele, uno che sulla sinistra spingeva da matti; così la squadra tornò a viaggiare nelle zone alte della classifica. Poi, purtroppo, ci fu l'episodio di San Siro con Benetti. Whisky ne uscì come tutti sappiamo ma anche dentro di noi, psicologicamente, si ruppe qualcosa. Tirammo avanti lo stesso, con rabbia e determinazione, arrivammo quinti ma non era più la stessa cosa: l'ottimismo, la speranza, la fiducia avevano fatto crack quel 10 gennaio 1971 a Milano." Morirono lì le ambizioni del Bologna di tornare grande? "Direi di sì. Salvo fiammate estemporanee, il Bologna degli anni successivi era una squadra dignitosa, da metà classifica. Ma nulla più."

Eccezion fatta, però, per ...


" ... la coppa Italia del 1974. Rispetto al 1970, però, qualcosa era cambiato. Il calcio, ormai, stava facendosi davvero miliardario e per le squadre medie diventava difficile stare al passo. Dopo quel successo ci attrezzammo, anche in vista della Coppa delle Coppe, con Bellugi e Maselli mentre la rivelazione Pecci diventava conferma. Venne meno, però, il conforto dei risultati. In Coppa uscimmmo subito, eliminati ai rigori dal Gwardia di Varsavia, in campionato non andammo oltre il nono posto. Così, a fine torneo, ci fu la svolta. Il presidente Conti, che sempre maggiori difficoltà incontrava a mantenere la squadra su buoni livelli, cedette Pecci al Torino ma, soprattutto, Savoldi al Napoli per la allora spaventosa cifra di due miliardi." 
E il Bologna? "Cominciò il periodo delle vacche magre, delle salvezze all'ultimo istante: rischiammo di brutto nel'77, nel'78, nel '79 ... "

Poi?

"Poi il sottoscritto appese le scarpe al chiodo: avevo ormai 34 anni suonati e mi piaceva chiudere in bellezza." Alla fine di quella stessa stagione chiuse anche Tazio Roversi. Andava così in pensione la coppia di marcatori che aveva disegnato la difesa rossoblù per undici stagioni. Ma, soprattutto, sempre in quel 1979, ci fu anche al vertice il cambio della guardia. Luciano Conti, che era stato il mio presidente per nove anni, abdicava anche lui. Era l'inizio di una nuova era, di un periodo purtroppo assai triste per la compagine bolognese, retrocessa più volte in serie B e addirittura in C prima di ritornare nella massima serie con buoni risultati. "Mi sembra però che anche Gazzoni Frascara cominci, come Conti negli anni Settanta, a sentire il peso di questo calcio impazzito. La speranza è che le cose cambino, che si torni a quei valori sportivi e umani che caratterizzavano lo sport che ho avuto la fortuna di vivere io. Ma non sono ottimista."

Molto soddisfatto è per contro Franco Cresci delle sue scelte, della sua vita, del destino che lo ha portato qui.

"Scherzi? Al Bologna e a Bologna mi sono trovato sempre benissimo, tanto da non cadere mai in tentazione, o di avere voglia, di emigrare verso piazze considerate più importanti. Certo, sotto il profilo economico la mia scelta non fu felicissima, ma la vita non è fatta solo di soldi. O no? Questa città mi aveva accolto benissimo, qui mi sono sempre sentito a casa, tanto che non ho più voluto saperne di andarmene." Sei in buona compagnia. Tanti altri tuoi ex compagni si sono fermati qui ... "È vero. Aggiungo però che io arrivavo da Milano, cioè da una grande città. Se mi sono trovato bene io, vuol dire che Bologna era e rimane davvero speciale."

Franco Cresci, un argine indistruttibile.

La bellissima storia dei cento anni del Bologna raccontata dalle gesta di 100 grandi uomini più una donna che li ha celebrati tutti insieme.

Da "Il Resto del Carlino".

Franco Cresci nasce all'lnter, ma al Bologna ci arriva via Milan: in cambio di Fogli, il club rossonero decide di girare ai rossoblù quel ragazzo che col passar degli anni si rivelerà uno dei più forti difensori italiani. Sotto le Due Torri, Cresci diventa il gemello di Roversi: quattrocento partite insieme, una carriera. Che porta qualche bella soddisfazione: un paio di coppe Italia, una Coppa di Lega italo-inglese, ma niente scudetto. E neanche Nazionale: Cresci vede l'azzurro solo nelle varie under dell'epoca, ma in prima squadra mai. Cresciuto con l'lnter di Herrera, allenandosi coi Mazzola e i Suarez, Cresci ha subito modo di mostrare di che pasta è fatto: del marcatore puro ha il carattere e pure la consistenza. È indistruttibile: di lui, si ricordano pochi acciacchi, tutti di poco conto. È anche uno che si allena tanto, forse troppo: Pesaola, temendo che andasse in superallenamento, lo fermava spesso e lo spediva in ricevitoria a giocare la Tris. E lui obbediva: oltre che serio e concentrato sul campo, era anche molto disciplinato. Di Cresci non si ricordano episodi particolari: fare il suo dovere era la normalità. Ha segnato abbastanza per il ruolo che occupava: undici gol non erano pochi all'epoca per un difensore che non si chiamasse Facchetti o Maldera. Lasciata Bologna, non si allontanò troppo: gli ultimi scampoli di carriera li spese a Modena, nell'anno in cui i canarini tornarono in C1. Poi è rimasto nel calcio, lavorando come tecnico delle giovanili e dei dilettanti a San Lazzaro e a Crevalcore.

Franco Cresci

Di Raffaele Dalla Vite.

Franco Cresci nasce a Milano (settembre '45) che la guerra è finita da poco. Tifoso interista, il papà appena possibile lo porta a fare un provino alla società nerazzurra che non esita a inserirlo nel proprio settore giovanile. Si affaccia anche nella "rosa" della prima squadra di Helenio Herrera nel ' 64-' 65, si allena contro gente come Picchi, Suarez, Corso, Mazzola. Deve crescere e viene mandato per una stagione in serie D al Rapallo, ma subito migliora passando al Varese dove gioca da titolare prima in serie B e poi in serie A, giocando da stopper. Piace al Milan che se lo prende, ma decide di girarlo al Bologna per portare a Milano Romano Fogli. Era il 1968. Dopo tanti anni in rossoblu con un altissimo rendimento, Cresci è rimasto nel cuore dei tifosi anche per la sua "attiva" partecipazione alla rocambolesca salvezza del '79, quando nell'ultima partita con il Perugia gli capitò poco prima dell'intervallo di colpire casualmente al volto (mettendolo fuori causa) Salvatore Bagni che aveva già realizzato una doppietta e spinto il Bologna quasi in B. Formidabile agonista e atleta assai dotato fisicamente, Cresci non si risparmiava neppure in allenamento. "Cristu, tu lavori troppo, così me vai in superallenamento. Oggi te fermi e me vai a giocare la Tris. Dopo te dò i soldi!". Capitava spesso che Bruno Pesaola venerdì, dicesse così a Franco Cresci. Lui dal Velodromo, dove a quei tempi il Bologna si allenava, correva all'agenzia ippica di Porta San Felice, ben contento di soddisfare il "vizietto" del tecnico che fra l'altro dimostrava di apprezzare sempre moltissimo la forza del grintoso difensore. Cessata l'attività agonistica, dopo parentesi al Modena, Franco ha allenato molto a livello di C e D e con buoni risultati.

Franco Cresci, il gemello del "biondo".

Di Oddone Nordio.


Il padre era un tifoso dell'Inter e allora un bel giorno pensò bene di portarlo a fare un provino. Quel ragazzino robusto, i capelli ricci e neri che appena finita la scuola si tuffava nei campi della parrocchia di San Sempliciano che sorgevano immediatamente dietro la mitica "Arena", secondo lui aveva le qualità per emergere e sfondare nel grande mondo del calcio. Il provino andò bene, Franco Cresci entrò nel settore giovanile della squadra nerazzurra che allora dominava in Italia e in Europa con campioni come Corso, Suarez, Mazzola. Siamo nel 1966 e l'Inter decide di dare in prestito al Varese quel terzino svelto, fisico possente, che non aveva paura di nessuno. Cresci gioca in serie B, poi l'anno dopo eccolo esordire in serie A a Firenze: è il 24 settembre 1967. Prima c'è un intermezzo in serie C a Rapallo. Sul ragazzo mette gli occhi il Milan che se lo porta a casa (è il 1968) ma che lo gira subito al Bologna per Fogli. Pesaola l'aveva visto giocare, il direttore sportivo Carlo Montanari aveva ottimi rapporti con la società rossonera e dunque l'affare va in porto in fretta. Da allora - lo ricordiamo, era il 1968 - Franco Cresci veste la maglia del Bologna per 10 stagioni, chiude con i rossoblù nel 1979 con 403 presenze e 11 gol tra campionato e coppe. Con il Bologna ha vinto 2 coppe Italia (1970 e 1974) e una coppa di Lega Italo-Inglese nel 1970. La coppa Italia del 1974, vinta all'Olimpico contro il Palermo lo vide protagonista in negativo. Ai rigori Cresci fece cilecca. Poi ci pensò Bulgarelli.

Undici stagioni in rosso-blu


Quando lascia i rossoblù, Cresci da Bologna si sposta per pochi chilometri, va a Modena dove resta per tre stagioni. Quindi passa al settore giovanile della società gialloblù, poi frequenta il corso di Coverciano e inizia la carriera di allenatore. Con Tazio Roversi Cresci formava una coppia di difensori che aveva pochi eguali nei campionati di quegli anni. Cresci aveva un fisico bello e asciutto, una bella corsa, era un marcatore spietato, e già allora era uno che affondava sulla fascia. Non era un difensore-goleador, pur avendo un buon calcio e una discreta padronanza tecnica. Eppure, nella sua carriera, ci sono due gol da incorniciare: li segnò rispettivamente all'Inter e alla Juventus. In quell'Inter in porta c'era Bordon, e poi Suarez, l'ex Fedele, Mazzola. Nel Bologna gente come Bulgarelli, Pecci, Landini. Contro la Juventus (vittoria per 2-1) segnò con un gran destro di controbalzo proprio sotto la curva Andrea Costa per la gioia incontenibile di quella gente che da sempre rappresenta il cuore più vero del tifo. Ha allenato il Crevalcore in C1, allora anche il Bologna era in terza serie dopo le disastrose retrocessioni. E' stato sulla panchina del San Lazzaro, del Forlì, della Vis Pesaro, dell'Imola, del Rovigo. E ha sempre raccolto buoni risultati dovunque, operando con buonsenso e con grande concretezza.

Stagione
Squadra
Campionato
Coppe naz.
Coppe euro.
Altre coppe
Totale
Com Pres Reti Com Pres Reti Com Pres Reti Com Pres Reti
Pres
Reti
1968-1969
Bologna
A
26
1
CI
3
0
CdF
5
0
CdA
4
1
38
2
1969-1970
Bologna
A
29
0
CI
11
0
-
-
-
-
-
-
40
0
1970-1971
Bologna
A
30
0
CI
3
0
CdC
2
0
CA-I+
CdLI-I
5+2
1+0
42
1
1971-1972
Bologna
A
29
0
CI
9
0
CU
4
0
-
-
-
42
0
1972-1973
Bologna
A
28
0
CI
10
0
-
-
-
CA-I+
CM
5+1
0+0
44
0
1973-1974
Bologna
A
29
0
CI
10
0
-
-
-
-
-
-
39
0
1974-1975
Bologna
A
30
3
CI
6
0
CdC
2
0
-
-
-
38
3
1975-1976
Bologna
A
27
2
CI
4
0
-
-
-
-
-
-
31
2
1976-1977
Bologna
A
29
0
CI
10
2
-
-
-
-
-
-
39
2
1977-1978
Bologna
A
26
0
CI
4
0
-
-
-
-
-
-
30
0
1978-1979
Bologna
A
18
1
CI
3
0
-
-
-
-
-
-
21
1


301
7

73
2


13
0


17
2
404
11
Legenda:
A – Serie A
CI – Coppa Italia
CdF – Coppa delle Fiere
CdC – Coppa delle Coppe
CU – Coppa UEFA
CM – Coppa Mitropa
CdA – Coppa delle Alpi
CA-I – Coppa Anglo-Italiana
CdLI-I – Coppa di Lega Italo-Inglese
Franco Cresci (Milano, 15 settembre 1945 ). Giocatore forte fisicamente e dotato di buona tecnica, eclettico, in grado di ricoprire i ruoli di stopper e terzino con naturalezza. Al Bologna dal 1968-69 al 1978-79, con 404 presenze (7° di tutti i tempi in rosso-blu) e 11 gol tra campionato e coppe. 2 presenze in Nazionale B e 6 in quella giovanile, con la quale vinse i Giochi del Mediterraneo in Tunisia, nel 1967. Con il Bologna ha vinto 2 Coppe Italia nel 1970 e nel 1974, e 1 Coppa di Lega Italo-Inglese, sempre nel 1970.