lunedì 6 ottobre 2008

Mario Gianni, il "gatto magico"


Mario Gianni, il pisano che amava il Bologna ancora prima di giocarci, nacque a Genova il 19-11-1902. L'appellativo di "gatto magico" glielo affibbiarono in Sudamerica, durante la famosa tournée rossoblù del 1929. Una notte a Rio, Mario Gianni compì tali e tante prodezze da accendere la fantasia della torcida brasiliana. E in verità quel nomignolo (rimastogli poi sempre addosso) gli si addiceva, per quel tanto di felino che metteva nei suoi interventi. Scatto, agilità, colpo d'occhio gli consentivano di arrivare anche su palle impossibili e compiere parate che definire prodigiose era il minimo. "Per lui" raccontava Sansone "era forse più agevole fermare un tiro da due passi che non uno improvviso da lontano". Il che lascia intendere che magari qualche volta dalla distanza il pallone potesse sfuggire alla sua presa. In compenso certi salvataggi istintivi del "gatto" su conclusioni sotto misura erano semplicemente entusiasmanti. Gli immaginifici cronisti del tempo lo facevano volare "da un palo all'altro" e magari anche andata e ritorno... Portiere più di slancio che di posizione. In ogni caso il migliore per lungo tempo in rossoblù. Come persona era squisitamente aperto, leale, allegro, di animo sensibile. Già negli anni in cui giocava nel Pisa (la sua città benché fosse nato a Genova) il suo sogno era di far parte un giorno del Bologna. Ricordava Genovesi che quando i rossoblù andavano a giocare a Milano Gianni, che era là bersagliere, li andava a prendere in stazione pieno di ammirazione e premure. Finì che nell'estate 1924 il presidente Masetti decise di accontentarlo dandogli anche il posto di lavoro alla Cassa di Risparmio. E fu subito scudetto dopo le favolose cinque finali col Genoa. La qualcosa, se colmò di gioia l'animo del neo-rossoblù, indispettì ancor più i suoi concittadini che già lo avevano accusato di tradimento. Fatto si è che all'Arena Garibaldi attesero la prima venuta dei campioni per accalcarsi dietro la rete bolognese e beffeggiarne pesantemente il portiere. Senonché la partita si svolse interamente nell'altra metà campo. Il Bologna di quei tempi aveva un brutto carattere. Vinse 6-0: fu l'ultima volta che Gianni giocò nella sua città. Con quel Bologna felsneriano, tutto tecnica e coesione, Gianni visse un bellissimo romanzo in 12 capitoli, vincendo 3 scudetti e 2 coppe Europa. Chiuse da campione d'Italia nel 1936 a 34 anni, dopo aver giocato per intero gli ultimi cinque campionati e stabilito con 172 presenze consecutive il primato sociale di continuità. A suo gran vanto anche 6 presenze in Nazionale A e 5 in B. Indimenticabile il suo debutto azzurro al Littoriale nella festosa cornice del 29 maggio 1927. Con i suoi compagni Genovesi, Giordani, e Della Valle a spartire assieme a lui gli onori di quel 2-0. Mario Gianni morì a Milano nel 1967, a 65 anni.

Mario Gianni giocò nel Bologna dal campionato 1924-25 al campionato 1935-36, con 361 presenze tra campionato e coppe europee. Giocò 172 partite consecutive dalla 25 giornata del 1930-31 alla 30 giornata del 1935-36. Vinse 3 scudetti: 1924-25, 1928-29, 1935-36, 2 Coppe Europa nel 1932 e nel 1934, con 6 presenze in Nazionale A (debutto in Italia-Spagna 2-0, il 29-5-1927, per l'inaugurazione del Littoriale) e 5 in Nazionale B.
Da il "Calcio Illustrato" del 1932.

"Sotto il fuoco delle domande che tradiscono fin troppo il desiderio di strappare al campione qualche suo ricordo curioso, Gianni non si ritrova e pare ritrarsi ognor più nel guscio della sua modestia. Conviene allora frugare nel cofanetto dei ricordi. Il debutto avvenne nel lontano 1917 nelle file d'una squadra "libera" di Pisa: l'Audax. Gianni fra i ragazzi subito si impone. E seguendo l'esempio dei campioni l'anno dopo eccolo con nuovi colori : quelli dello S.C. Gerbi, altra squadretta "libera" di Pisa. Poi è il primo grande balzo nelle file del Pisa , del "grande" Pisa d'allora. Fino al 1924 Gianni rimane all'ombra del campanile. Poi entra nel Bologna, la squadra che doveva lanciarlo e non abbandonarlo più. Curiosa la carriera di questo atleta, che ha avuto alti e bassi, che salito sugli altari ha conosciuto l'amarezza della polvere e che è ritornato in alto quando a qualcuno poteva esser sembrato che la sua stella fosse sulla linea cadente del tramonto. Ma ora eccolo ancora in piedi e ben saldo, di fronte alla responsabilità della difesa della rete azzurra, modesto come nei momenti grigi, tranquillo e sereno come nei momenti migliori, quelli in cui Gianni stupisce le folle argentine col suo scatto felino , con i suoi voli traverso la porta, con i suoi salvataggi miracolosi. Il "gatto magico" lo definirono laggiù in Sudamerica, e forse mai definizione fu più giusta di quella. Gianni, il portiere che gioca più sullo slancio che sulla posizione, che parte da posizioni impensate a ghermire palloni incredibili: il gatto in agguato, insomma, dal balzo infallibile, morbido e composto nello sforzo, guizzante nell'intuito e nell'esecuzione. Fu chiesto a Gianni: "Il suo sistema di gioco qual'è?". Gianni rispose: "Non ho un sistema; mi affido all'esperienza ed all'istinto. L'una integra e modella l'altro e viceversa. Vale anche la fortuna però, e assai spesso fermare un pallone è più facile di quanto non sembri allo spettatore. Gli è che dalla porta si segue l'azione come nessuno; può anche darsi che esista un linguaggio dei piedi; dicono che a osservare i piedi dei giocatori che corrono col pallone verso la porta e che il pallone attendono s'indovina dove si concluderà il tiro...A me capita di trovarmi sulla traiettoria o di portarmici d'istinto. Dico, naturalmente, che è così se la forma è buona. La forma di un portiere si basa principalmente sulla salute fisica e sulla salute morale. Il morale però conta ancora più...".

Da "il mezzo secolo del Bologna", "il tradimento", di Aldo Bardelli.

"Quel giorno c'era ancora una bava di libeccio che scendeva su Pisa dal mare. Era tornato il sereno, ma la città rabbrividiva sotto l'aspra carezza del vento maligno. Attorno al campo dell'Arena, spelacchiato e rinsecchito, c'era poca gente. Il vecchio Pisa non attraversava un momento felice. L'anno precedente si era comportato con onore, arrivando quarto del suo girone a cinque punti dal Genoa (il Genoa delle famose cinque finali con il Bologna); ma ora affannava a tener il passo delle squadre più forti. All'Arena era di turno il Bologna del primo scudetto. La squadra era in piena forma e negli ultimi tempi si era dimostrata impietosa proprio con le squadre toscane. Ma il pubblico, che aveva preso la strada dell'Arena nonostante il clima ostile di dicembre, non pensava tanto al Bologna, alle sue recenti imprese, alle sue probabili ambizioni, quanto all'uomo che ne avrebbe difeso la porta: a Gianni, pisano di Pisa, da più di un anno passato alla società rossoblù con una decisione che sapeva di "tradimento". Oggi di tutto questo si può sorridere. I giocatori vanno e vengono da una squadra all'altra e nelle statistiche di ogni stagione si traccia un punto esclamativo laddove risulti, per caso, che un determinato calciatore giochi ancora per la società di casa. A quel tempo, invece, piuttosto che di mosche bianche, si parlava di pecore nere. Sul trasferimento di Gianni, a Pisa si era discusso a lungo negli incerti vespri sotto i portici di Borgo Stretto. "Lo sporco danaro - si diceva - ha corrotto anche lo sport...". Discorsi di sempre, come si vede. Il caso di Gianni, insomma, era diventato un fatto cittadino ed un sintomo della decadenza dei costumi. Qualche cosa del genere doveva accadere qualche anno dopo anche a Livorno, quando ad andarsene (pure lui al Bologna) fu Alfredo Pitto. A Livorno, anzi, si fece anche di più. La mezza rivoluzione si risolse in un'assemblea che venne tenuta al Cinema Margherita e durante la quale si decise di fare subito una colletta. Il ricavato, offerto alla società amaranto, avrebbe impedito la partenza di Alfredo. Si raccolsero, dopo molte pene, due lire. E Pitto pochi giorni dopo partì. La retorica della piazza non era valsa più di dieci nichelini!...

Ritorno a Pisa con la maglia del Bologna

A Pisa, per Gianni, collette non se ne fecero; si parlò tuttavia di tradimento nell'attesa che Gianni tornasse a casa con il maglione del Bologna. Sarebbe stato il giorno della vendetta. Per un anno l'evento non fu possibile. Il campionato, a quel tempo, era su due gironi e mai accadeva che il Pisa ed il Livorno fossero messi nello stesso gruppo. Le partite tra le due città vicine si risolvevano immancabilmente in mischie furibonde, con cazzotti, legnate, colpi di rivoltella tra il balenare delle sciabole sguainate dei carabinieri. La Federazione aveva, allora, deciso di mettere sempre una squadra di qua e l'altra di là. L'anno prima il Bologna era capitato nel girone del Livorno. Qualche pisano era andato a vederlo a Villa Chayes per fischiare Gianni, ma la manifestazione era stata sommersa dagli incitamenti del pubblico locale per gli amaranto di Magnozzi. Il Bologna quella volta raddrizzò miracolosamente il risultato, annullando nella ripresa due reti iniziali del Livorno. Si lottò duramente nel fango, tra violenti rovesci d'acqua. Il giustiziere delle generose speranze del Livorno fu Perin che per due volte spaccò a metà la linea bianca del buon Niccolai, beffato dai tiri maliziosi dell'attaccante bolognese. I pochi pisani che erano andati a Livorno, disposti a veder vincere gli odiati amaranto purché perdesse il Bologna, tornarono indietro delusi. E si misero ad aspettare l'anno successivo. L'occasione capitò, appunto, in un'invelenita domenica d'inverno; esattamente il 6 dicembre del 1925. All'Arena la gente, infreddolita, attese addossata al muro che separava il campo dalle casette di Porta a Lucca l'uscita delle squadre dagli spogliatoi. Si sentirono, poi, i primi fischi ma tutti attesero il sorteggio del campo per muoversi. Quando il Bologna fece la sua scelta, la gente si tirò su il bavero del cappotto e si ammassò alle spalle di Gianni. Furono ululati continui, facili ironie, frasi schioccanti come scudisciate. Il gruppo rumoroso e irrequieto attendeva la prima papera del "gatto magico", per scatenarsi. Gianni stava tra i pali, immobile. Non osava voltarsi verso la piccola folla che una volta era stata la sua, ed ora si manifestava così ostile. Borgato e Gasperi lo invitavano a "non sentire", ma era più che altro tutta la squadra che lo incoraggiava...attaccando ventre a terra. Crediamo che la palla in tutta la partita arrivasse, sì e no, un paio di volte nell'area di Gianni. Il Bologna straripò su di un campo solitamente avaro con gli ospiti. Vinse sei a zero! Segnarono due volte ciascuno Della Valle e Perin, una volta Pozzi e Muzzioli; la gente lasciò l'Arena a testa bassa; Gianni poté uscire dal campo senza che nessuno osasse rivolgergli la parola. Quella sera i caffè di Borgo Stretto chiusero prima del tempo. Atmosfera da sciagura nazionale. Accadeva, una volta. Oggi, si capisce, tutto è diverso. Tradirebbe chi, poniamo, si opponesse al proprio trasferimento. Ma non succede neppure questo".

Da "il mezzo secolo del Bologna".

"All'onda della nostalgia e alla piena dei sentimenti, suscitate dai ricordi, si abbandona un vecchio idolo dei bolognesi, il "gatto magico" che per dodici anni presidiò valorosamente la porta rossoblù, MARIO GIANNI: ...Anche per te, mio caro Bologna, gli anni passano...sono 50, ma non li dimostri. Sei fatto di giovani e giovane rimarrai nel tempo, per sempre. E così ti ricorderò nella rievocazione della mia giovinezza che ti donai senza nulla chiederti. Dicembre 1923, giugno 1936. Tutt'ora dalla parte del cuore sulla mia pelle vi sono impresse delle strisce bicolori. È da dirsi? sono rossoblù... gloriose vecchie maglie che passarono vittoriose per gli stadi del mondo. Nostalgie? No, se pur anco una lacrima affiora, ma storia sportiva del nostro vessillo al quale abbiamo dato il meglio di noi... e che spesso ha visto le nostre maglie arrossate dal vermiglio sangue generoso che gli sacrificammo. Vecchio "Bologna", sono ancora con te nella buona e nell'avversa fortuna. Il tuo "gatto magico".

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